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"A Firenze sto bene - confessa appollaiato su un'asse da lavoro incrostata di colla e colori - Qui ho finito i miei studi all'Accademia e qui, dopo la nascita di mia figlia Alice, ho scelto di vivere. E' una città magnifica, fin troppo stimolante". Nessun rimorso per aver lasciato la Sardegna, allora? "Rimorsi no, solo una nostalgia difficile da estirpare: il mare". Che per un isolano è un po' come dire le radici più vere. E proprio a Cagliari, Agostino appena sedicenne lavorava già maschere di legno simili a quelle, storiche, dei "mammutones" isolani. Era un modo per dar sfogo alla creatività e per raggranellare qualche soldo durante il periodo del liceo. Come bottega una porzione di stanza nella casa dei nonni che il padre gli aveva riadattato a laboratorio ("Senza quella botteghina - ammette oggi - non ci sarebbe stato forse nemmeno questo lavoro"), e come prima galleria le pareti della mescita di vino che la madre gestiva in paese. Storia di una vocazione annunciata, insomma, di un ragazzino che invece di giocare a calcio o di intrecciare i primi flirt preferiva impiegare "il tempo libero in una botteghina a provare e riprovare a modellare il legno, il metallo, la creta". E, in quella aspirazione apparentemente precoce verso la materia e le sue possibili anime, stava nascosto lo stesso piacere che, da adulto, lo spinge oggi a sperimentare, a osare, a penetrare nuovi segreti.
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